Daniele, semplicemente atleta

Daniele, semplicemente atleta

Una bella giornata estiva di sole, gli amici che ti aspettano, il motorino che incarna la libertà dei 16 anni, la vita vivace di Daniele è al massimo. Poi in un attimo  tutto cambia. La mamma lo aspetta, ma Daniele non torna a casa, è in ospedale. Ha lesioni su tutto il corpo, in particolare all’anca e al ginocchio, tanto che i medici temono che non possa più tornare a camminare come prima.

Invece, dopo solo 10 mesi, grazie alla sua grande forza d’animo, Daniele ricomincia a camminare e correre, ma il braccio e la mano sinistra sono e restano paralizzati. Ora non è più protagonista in campo ma solo uno spettatore. Quanto è doloroso essere tagliati fuori, non poter partecipare a causa di ciò che è accaduto, a causa di questo marchio che gli è stato attribuito dopo l’incidente: DISABILE.

Troppo doloroso andare e non giocare, vedere la propria squadra in partita, i compagni che corrono sul campo. La luce negli occhi di Daniele, sempre accesa e vivace per la passione che ha nei confronti di questo sport si spegne, ma non del tutto, perché a rinunciare Daniele non è ancora pronto. A un anno dall’incidente, il sabato pomeriggio ricomincia ad andare al campetto con i suoi amici. Tutti sono però più attenti con lui perché temono di fargli male, ma lui li sfida a trattarlo come un loro pari, li istiga per provocare in loro una reazione, cerca in ogni modo di portarli ad “andarci giù duro” esattamente come lui fa e ha sempre fatto con loro. E piano piano riconquista di diritto la sua parità.

Nel 2005 Daniele entra in una squadra di calcio a 5 e fa il primo campionato dai tempi dell’incidente. Nel 2008 entra a far parte di Anni Magici di Cavriago, una delle società sportive “All Inclusive” che include ragazzi di varie età e ragazzi con disabilità cognitive e comportamentali, e che fa giocare tutti. Lo sport è prima di tutto inclusione, gioco, socializzazione, condivisione: alcuni talenti sportivi emergono e i ragazzi con disabilità più capaci diventano anno dopo anno veramente bravi. Anche la competizione entra quindi a far parte della squadra, ma in modo sano e con una serie di attenzioni particolari.

Daniele ha il logo di Special Olympics tatuato sul braccio e racconta che partecipare a questa esperienza gli ha cambiato la vita, permettendogli di sperimentare il vero senso dello sport: integrazione e divertimento insieme. Racconta, ridendo, che un ragazzo lo ha preso per il braccio sinistro e un suo compagno con la sindrome di down lo ha difeso, gridandogli “Ma cosa fai, non lo vedi che lui è handicappato?“. In queste squadre, come in tutti gli ambiti, l’integrazione e la competizione devono trovare il giusto equilibrio, prendendo gli oneri e gli onori di una perdita e di una vittoria, facendo giocare tutti.

A tutti piace vincere. Ma ci sono vari livelli. Le squadre che hanno come atleti ragazzi con disabilità particolarmente capaci partecipano ai tornei regionali, mentre le altre fanno tornei fra pari. L’importante è che tutti possano giocare, come in una finale di un torneo misto, inclusivo  a San Marino in cui l’allenatore, per scelta fece giocare a rotazione tutti perché tutti si erano meritati di giocare la finale: persero la partita ma tornarono a casa tutti insieme come una squadra, sapendo che ognuno aveva fatto la sua parte, nel bene e nel male.

Dice Daniele:

“Credo che ci debba essere l’inclusione, ma anche l’agonismo: il livello dipende dall’evento. Ma non tutti gli allenatori sono pronti all’inclusione. C’è chi non accetta di perdere. C’è chi vuole solo vincere e per farlo lascia in panchina una parte della squadra. Questo non è giusto. Credo che il progetto All Inclusive Sport vada proprio nella direzione giusta, quella della reale inclusione”.

Nel partecipare a tornei inclusivi  è capitato a Daniele di ricevere complimenti sinceri, pieni di stima e ammirazione sportiva da normodotati che lui ha accolto con soddisfazione e gratificazione, aumentando e rafforzando la sua autostima. Questo lo ha aiutato a superare il trauma dell’incidente che gli ha cambiato la vita, trauma che non lo abbandona mai. Lo sport è stato ed è estremamente importante, perché quando gioca, Daniele non sente la disabilità: ha un obiettivo da raggiungere ed è concentrato sul superamento dei suoi limiti fisici e sulla cura del suo corpo per arrivarci. Questo cambia la percezione che ho di me” dice  non riesco più a pensare a me stesso prima dell’incidente: se ricordo quello che ho fatto prima del 25 luglio 1999, non sto ricordando me stesso ma un’altra persona. Se sogno di muovere il braccio sinistro mi sveglio pensando che non sono io!”. 

Lo sport ha un valore enorme in termini di socialità: l’integrazione fa crescere i ragazzi disabili così come i compagni di squadra

Daniele ha sperimentato l’inclusione sportiva.